Le considerazioni di Nardi: Satalino svogliato, meglio Benedettini

Ad un solo giorno di distanza dall’ultima fatica di campionato, il portiere romagnolo traccia un bilancio di questa sua prima stagione in bianconero (e non solo…)
01.05.2021 11:15 di  Giacomo Giunchi   vedi letture
Le considerazioni di Nardi: Satalino svogliato, meglio Benedettini
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© foto di Francesco Di Leonforte/TuttoCesena.it

Come ogni settimana ultimamente, eccoci con il consueto appuntamento con l’intervista all’interno dello spogliatoio del Cesena FC. Oggi l’intervistato è il numero uno, o meglio, il numero 33 del Cesena. Il romagnolo doc portiere bianconero ‘San’ Michele Nardi era partito da secondo portiere, ma con le sue strabilianti prestazioni si è man mano guadagnato la titolarità assoluta nel Cavalluccio. Con lui si è parlato di parate storiche, della sua promozione in Serie A, di Inter, di rinnovo, della convivenza con Satalino e Benedettini, e di molto altro ancora…

Nardi, sin da quando era un bambino si è subito posizionato in porta o giocava anche in mezzo al campo?
“No, da piccolo alternavo, facevo sia il portiere che il giocatore in mezzo al campo. Mi piacevano molto entrambe le cose”.

In che ruolo giocava?
“Facevo il difensore, terzino sinistro di solito”.

A quale portiere si è sempre ispirato? Chi era e chi è il suo idolo?
“Da ragazzo il mio idolo è sempre stato Casillas. In Italia erano Frey e Buffon, ma più in generale ti direi Casillas”.

Dicono che per fare il portiere bisogna essere un po’ matti, lei si aggrega a questa linea di pensiero?
“Guarda (ride, ndr), sinceramente i portieri, per la maggior parte, non sono tanto normali. Però io mi reputo abbastanza razionale, diciamo, rispetto alla media di quelli che conosco”.

Che impatto ha avuto sulla sua vita la nascita di sua figlia? 
“È sicuramente un cambiamento della vita radicale, ma è la cosa più bella del mondo. Mia figlia Sofia è stata una delle ragioni per cui, anche se non fosse arrivata l’offerta dal Cesena, mi sarei voluto riavvicinare a casa”.

Che consiglio si sentirebbe di dare ad un giovane portiere, o comunque al sé stesso di quindici anni fa, debuttante al Santarcangelo?
“Col senno di poi, non mi pento di nulla nella mia carriera. In tanti mi hanno detto che ho sprecato degli anni o che magari avrei potuto fare qualcosa di più, ma credo che così facendo avrei tralasciato altro che nella mia vita è stato comunque importante per il mio percorso di crescita. Il fatto di lavorare e giocare a calcio contemporaneamente, il fatto che non fosse il mio unico impegno durante la giornata, il fatto di crescere in una società e assieme alla società stessa, dalla Serie D alle prime cinquanta squadre d’Italia. A Santarcangelo ero uno dei pochi punti fermi su cui veniva costruito il gruppo. Lì penso di aver imparato anche che i rapporti umani con i miei compagni di squadra possono fare più la differenza rispetto alle mie qualità tecniche. Un consiglio che darei è appunto da solo puoi fare la differenza per una partita, ma nell’arco di una carriera se non hai l’aiuto dei tuoi compagni non vai da nessuna parte”.

Lei ha passato ben dodici stagioni, condite anche con una storica promozione in Serie C, con la maglia del Santarcangelo. Che rammarico ha che quella società praticamente non esista più?
“Io ero andato via verso Parma l’anno prima della retrocessione e del successivo fallimento, poi purtroppo è cambiata la società e ci sono state varie vicissitudini in quell’ultimo campionato disputato. Da lì in poi la storia era abbastanza scritta. È un peccato, perché una realtà come il Santarcangelo aveva dimostrato in tutti quegli anni di poter disputare la Serie C. Ora però sono ripartiti dalla terza categoria con un gruppo di ragazzi della zona, con tantissimo entusiasmo e voglia di fare bene. Almeno per quello che riguarda il settore giovanile, è ripartito alla grandissima”.

Successivamente, nell’estate 2017 lei si è trasferito al Parma come secondo portiere in Serie B. Come ha vissuto dallo spogliatoio quella promozione in Serie A? Com’era l’ambiente?
“Sono passato da zero a cento in un secondo, nell’arco di un’estate. Il Parma, nonostante avesse passato anni in D e in C, ottenne la terza promozione consecutiva, ed era una società con giocatori da Serie A, come lo si è visto anche dal fatto che l’anno dopo molti sono rimasti. È stata un’emozione per tutto l’anno. È stato per me come il primo giorno di allenamento quando arrivi tra i grandi; tutta un’annata a imparare e godermela fino al successo, che è stata per me un’emozione indimenticabile. La promozione in Serie A poche volte capita”.

Ha notato particolari differenze dalle partite di Serie B a quelle di Serie C? 
“Il mio modo di vivere le partite, gli allenamenti e tutta l’annata è sempre lo stesso, io sono uno che si sente e non sta mai zitto. Vivo tutta la settimana cercando di fare in modo di allenare il minimo particolare e di rompere le palle a quelli davanti a me per fare in modo che la domenica rendano bene. Perché, come dico sempre, meno tiri arrivano e meglio è”.

Cosa pensa non abbia funzionato a Siena e Bolzano?
“Ti dico la verità, sono stato benissimo sia a Siena che a Bolzano. A Siena dovevamo essere ripescati in Serie B; fu quell’annata in cui iniziammo a giocare praticamente a novembre a causa del blocco dei ripescaggi. Dovevo essere appunto il secondo di Contini in Serie B, però non ci fu il ripescaggio e mi ritrovai a fare da riserva in Serie C. Comunque lì ho vissuto sei mesi positivi. Poi ho scelto di andare al Südtirol, società nella quale conoscevo il direttore e dove sono stato veramente da dio. La settimana scorsa mi è capitato di leggere l’intervista di Tuttocesena all’amministratore delegato del Südtirol: confermo tutto quello che è stato scritto e tutto quello che di buono si vede da fuori. È una società che cresce per step e che tratta i giocatori un gradino più in alto rispetto alle altre squadre. Si stanno meritando ciò che stanno ottenendo”.

A mio parere il Südtirol può essere paragonato al Cesena, sono entrambe squadre che rappresentano una regione intera…
“Sì, loro hanno tenuto in rosa dei ragazzi del posto, per far capire la mentalità della società, legata tantissimo al territorio. Ovvio che a Bolzano, essendo una società storicamente più giovane, stanno ancora costruendo un seguito che il Cesena già ha. Per tornare tra i grandi bisogna proseguire con questa mentalità qui”.

Cosa ha pensato in estate quando ha ricevuto la chiamata del Cesena?
“La sera mi hanno chiamato e la mattina sono venuto subito in sede. Non ci ho pensato due volte. Come ti ho detto prima, per la nascita di mia figlia volevo riavvicinarmi a casa, quando mi hanno chiamato non c’è stata nessuna discussione sul tipo di contratto o altro. Era un obiettivo e una speranza che avevo fin da quando ero un ragazzino; tutte le volte che a Cesena passi davanti allo stadio speri di giocarci”.

È sempre stato un tifoso del Cesena? Che squadra simpatizza a livello nazionale?
“Io sono sempre stato un tifoso dell’Inter. Non ero uno di quelli che andava in Curva Mare, però ho sempre seguito il Cesena. Il mio sogno era appunto giocare per il Cesena”.

Nardi, lei è uno dei giocatori più anziani della squadra, cosa prova a lavorare in un ambiente così giovane? Si sente maggiormente stimolato?
“Sì, ogni anno che passa scopro generazioni diverse e modi di vivere il professionismo completamente differenti da come magari lo vivevano quelli della mia età quando avevano diciotto anni. Tutto il mondo extracalcistico è completamente diverso. In ogni caso bisogna cercare il giusto compromesso per fare in modo che la squadra arrivi più in alto possibile. Se uno la domenica rende meglio a giocare ventiquattro ore al giorno alla PlayStation, o attaccato ai social network, a me non interessa”.

Che emozione ha rappresentato per lei, nella partita di andata contro il Südtirol, parare quel rigore praticamente all’ultimo minuto che di fatto ha tenuto in piedi la squadra? È stata per lei una sorta di gol dell’ex?
“Sì (ride, ndr), diciamo che non ho proprio la fama del ‘para-rigori’, perciò mi sono preso tutti gli insulti dai miei ex compagni di squadra”.

Quale pensa che sia stata la sua parata più memorabile di quest’anno?
“Ci sono stati più che altro momenti di partite. Ricordo Legnago, Arezzo, nei quali magari eravamo appena passati in vantaggio o comunque la partita era in equilibrio e ho compiuto salvataggi importanti. Ti dico, per assurdo anche a Carpi all’andata, dove ho fatto quella cappella, credo di aver disputato una delle mie miglior partite. Poi io sono uno molto autocritico, quindi faccio fatica a risponderti”.

A settembre ha firmato un contratto annuale, che a giugno scadrà. Che impressioni ha in merito al rinnovo?
“Non abbiamo ancora discusso e adesso non è sicuramente il momento, perché ora l’importante è concentrarsi esclusivamente sul campo. Se poi ci saranno le possibilità, ne chiacchiereremo insieme volentieri, l’estate è lunga. Certo che qui a Cesena sto bene, l’importante è che ci sia la possibilità e la volontà di proseguire da tutte e due le parti. Adesso però pensiamo a fare qualcosa di eccezionale da qui in avanti”.

A Cesena lei arrivò per fare il secondo portiere. Cosa ha significato per lei essersi conquistato il posto con le prestazioni? Quali parole si scambiava con Satalino?
“Che io fossi qui per fare il secondo è stata la prima cosa che mi fu messa in chiaro. E io ho accettato senza battere ciglio, perché è un ruolo che ho già ricoperto e se si vince mi va bene qualsiasi ruolo, così come ho vissuto la promozione in Serie A a Parma. Con Satalino avevo un ottimo rapporto. Gli rompevo le palle perché magari a volte era un po’ svogliato, ma lo facevo per farlo crescere. Poi ho avuto la possibilità di giocare e ciò mi ha reso ancora più contento; è ovvio che preferisco giocare tutte le partite rispetto che guardarle dalla panchina”.

Il ruolo di secondo portiere in carriera l’ha mai fatta soffrire? Oppure questo sacrificio non le ha mai pesato? Dalle sue risposte precedenti mi sembra di capire di no…
“No, il secondo l’ho fatto principalmente in Serie B, quindi con la consapevolezza già ad inizio stagione di ciò. Poi ovvio che c’è sempre la possibilità di conquistarsi la titolarità sul campo. È una leggenda il fatto che il primo gioca e il secondo guarda. In allenamento gli allenatori ci sono anche per i portieri. È un ruolo che comunque non mi ha mai pesato, perché io sono lo stesso dal lunedì alla domenica, sia se gioco sia se non gioco”.

Domenica si terrà l’ultima partita di campionato prima dei playoff. Potrebbe essere l’occasione per veder scendere in campo Benedettini al suo posto?
“Oddio, non ne ho la più pallida idea. Non entro in queste questioni. So per certo che Elia meriterebbe di giocare in tutte le piazze per tutto l’impegno che ci mette”.

Dice che un’occasione se la meriterebbe?
“Non ti dico questo perché non voglio entrare nel merito della questione, non ci dev’essere una mia parola a ciò, però è ovvio che giocherebbe in qualsiasi altra squadra di Serie C. È arrivato a gennaio solo perché era fermo da un anno e mezzo a causa di un brutto infortunio, ma ora si sta rimettendo in forma ed è un ottimo portiere, quindi se non sarà quest’anno, sono sicuro che nei prossimi anni avrà di che farsi vedere come a Wembley”.

Che partita quella di Benedettini contro l’Inghilterra…
“Ha fatto un partitone. È un ragazzo che è tornato con un entusiasmo da vendere, contagioso. Speriamo di fare qualcosa di eccezionale tutti insieme. Qualcosa di buono credo che questa squadra se lo sia già portato a casa, i complimenti li dovrebbe già avere per quello che ha fatto in questa stagione. Da adesso in avanti tutto quello che verrà sarà qualcosa di eccezionale. Speriamo di arrivare fino a metà giugno”.

Nardi, nonostante l’età lei è un portiere molto moderno, data la sua abilità con i piedi e nel costruire dal basso. Secondo lei questo è un elemento importante che deve avere un portiere al giorno d’oggi?
“Adesso come adesso è una cosa molto ricercata. Quando ho iniziato a giocare io non era ben vista come cosa. Ora ti permette di creare delle occasioni da gol, quindi magari conviene rischiare qualche passaggio in più per aprire gli spazi e creare maggiormente. Io sono sempre stato dell’idea che bisogna trovare il giusto compromesso. A me piace tantissimo e sono contento che possa servire questa mia dote, ma non sempre si può fare”.

Appena arrivato a Cesena cosa le ha detto Viali?
“Mi ha detto: ‘Che cazzo hai da ridere sempre?’ (ride, ndr). A parte gli scherzi, mi disse, lui come molti altri, che da avversario sembro un po’ antipatico, perché non sto mai zitto. Ciò dà fastidio ai miei compagni, figurati agli avversari. Ma da dentro io cerco di fare sempre il bene per la squadra. Però dai, abbiamo parlato e mi ha detto quale sarebbe stato il mio ruolo. Poi quando la situazione si è evoluta, è stato il primo a comunicarmelo e io sono stato molto contento”.

Lei è alto solamente 1,82m. Questo per lei ha mai rappresentato un limite o è ininfluente?
“Per me è ininfluente e non è così importante. Però è ovvio che se avessi avuto cinque centimetri in più li avrei presi volentieri (ride, ndr). Non conta solo l’altezza, non avere quei centimetri comunque aiuta in altre caratteristiche”.

Qual è la parata più clamorosa che ha in mente della storia del calcio? Io le potrei dire quella di Dudek su Shevchenko in quel Milan-Liverpool del 2005…
“Quella è stata bellissima. Tra l’altro ho un amico milanista a cui l’ho fatta rivedere qualche settimana fa (ride, ndr). È inspiegabile, quella non è una parata, quello è culo. Comunque quella di Dudek è una di quelle che mi è rimasta più impresse, ma ce ne sono tantissime altre di meravigliose”.

Nella nazionale italiana secondo lei chi si merita il posto di titolare tra i pali per gli europei?
“Donnarumma. Lui è un gioiello per l’Italia che non dobbiamo sprecare e che non dobbiamo tartassare. Il brutto vizio che abbiamo è quello di esaltare e mandare all’inferno un ragazzo nel giro di una settimana. Magari avrà fatto qualche sbaglio, potremo giudicarlo solo tra quindici anni, a fine carriera. Adesso dobbiamo solo tenerlo in una bolla e proteggerlo da qualsiasi distrazione che non sia il calcio”.

Come mai il 33 come numero di maglia?
(ride, ndr) Perché i miei amici mi dicono che sono miracolato, quindi essendo un miracolato dovevo prendere questo numero per forza”.

Ha detto di essere interista. Che previsioni ha per questo finale di stagione nerazzurro?
“Speriamo di non combinare frittate da qui alla fine, almeno torniamo a festeggiare qualcosa e ad avere qualche soddisfazione ogni tanto, sotto quel punto di vista”.