IL FUTURO DEL CESENA È IN PERICOLO?

Stiamo allevando la prima generazione di romagnoli che crescerà senza aver visto l’Italia ai Mondiali e il Cavalluccio promosso in Serie A. E il futuro fa (ancora) tanta paura…
28.03.2022 11:45 di  Flavio Bertozzi   vedi letture
IL FUTURO DEL CESENA È IN PERICOLO?

Ci pensavo proprio l’altra sera, subito dopo la disfatta patita con la Macedonia del Nord. Mentre l’attapiratissimo Chiellini, nelle umide segrete del Barbera, davanti ai microfoni della Rai, cercava di spiegare goffamente la vergognosa Caporetto Azzurra di Palermo.

L’ultimo Mondiale a cui ha preso parte l’Italia è stato quello del 2014, quello griffato Brasile.

L’ultima promozione in Serie A arpionata dal Cesena è del 2014, quella targata Latina.

Da allora sono passati quasi otto anni.

Stiamo dunque allevando la prima generazione di romagnoli che sta crescendo senza aver visto gli azzurri ai Mondiali e senza aver visto il Cavalluccio festeggiare un salto nel Calcio che Conta.

Gli italiani hanno la Nazionale nel cuore, lo sappiamo tutti.

I romagnoli hanno il Cesena nel proprio dna, sappiamo anche questo.

Epperò, sotto questo cielo, c’è qualcosa che non va.

Epperò c’è qualcosa che non torna.

Perché, se posso già fin da ora scommettere sul fatto che l’Italia ai Mondiali del 2026 ci sarà (un terzo fallimento dopo i flop del 2018 e del 2022 ‘significherebbe’ la morte definitiva del già boccheggiante calcio nostrano), non sono poi così sicuro (anzi…) che tra quattro anni il Cesena sarà di nuovo in Paradiso.

Ecco allora che, la domanda a tinte bianconere, sorge spontanea: come può un giovane figlio della Romagna di oggi appassionarsi a un club che, negli ultimi 8 anni, ha viaggiato tra retrocessioni a dir poco annunciate, scellerate eliminazioni ai play-off di B e C, salvezze cadette rese vane da vergognosi fallimenti, abominevoli tracolli maturati (anche) al cospetto di Matelica, Recanatese, Pineto, Fano, Virtus Vecomp, Legnago Salus, Imolese, Gubbio e Pontedera oppure – arrivando alla stretta attualità – tristissimi ed immeritati pareggini raccolti in extremis nientepopodimeno che al Recchioni di Fermo? Che non ho detto a San Siro o all’Olimpico. E nemmeno al Via del Mare o al Curi. Ho detto al Recchioni.

Sì, lo so bene: chi nasce in riva al Savio (e zone limitrofe) nasce già con il Cavalluccio tatuato sul cuore.

Sì, lo so bene: in Romagna prima viene il Cesena e poi vengono la Juventus, l’Inter, il Milan.

Sì, lo so bene: il calcio è fatto di cicli, di ere, di epoche. E – faccio un semplice esempio – anche il Cesena di Igor e Bisoli, quel famoso pomeriggio di fine maggio 2010 a Piacenza, colmò un vuoto col Grande Calcio durato quasi 20 anni.

Sì, lo so bene: chi troppo cede alla nostalgia canaglia tanto cara (anche) ad Al Bano e Romina, spesso finisce col reinventare un passato esagerato. O, peggio, un passato mai esistito.

Epperò i tempi (anche) a Cesena stanno davvero cambiando rapidamente, rigorosamente in peggio.

Epperò la globalizzazione selvaggia piano piano sta davvero uccidendo (anche) la Romagna.

Epperò quelli che dovrebbero essere i tifosi (anche) bianconeri di domani, a pallone, ci giocano sempre meno. In strada. Al parco. Sui campi veri.

Epperò ai nostri giovani frega sempre meno del calcio italiano. E del Cesena.

Ma allora il futuro del Cavalluccio è in pericolo?

Certo che no.

Finché continuerà ad esistere la Terra del Liscio e della Piadina, finché qualche pazzo che viene da Lontano non deciderà di bombardare la Terra più bella del Mondo, il Cesena continuerà ad appassionare (più o meno) i romagnoli.

Di sicuro però, l’appeal del Cavalluccio, ora come ora, è ai minimi storici. Anzi, è in picchiata. Non lo dico io. Lo dicono i numeri del botteghino. Lo dicono le chiacchiere da bar. Lo dicono le discussioni al lavoro davanti alla macchinetta del caffè. Lo dicono soprattutto le facce dei baby di Romagna. Baby che, se continua questo trend bianconero, ben difficilmente si innamoreranno – come hanno fatto i loro genitori e i loro nonni – del piccolo ‘grande’ Cesena.

Meditate gente.

Meditate.


PS: Quelli che… la fede calcistica è come una pianta. Va innaffiata regolarmente. Ed illuminata con la luce… dei successi